di
Piero Deggiovanni
Il
titolo del brano dei Radiohead, How To Disappear Completely,
potrebbe coronare un ipotetico manuale che Salvatore Insana, a mio
avviso, dovrebbe scrivere come atto di pura generosità verso i suoi
simili. Insegnarci come sparire da un mondo, questo mondo, che non
ama nessuno, che non ama tout court e che non merita di essere
amato. Silenziosamente, Salvatore ha iniziato da qualche anno a
defilarsi elegantemente da ogni confronto politico, ritenendo
inefficace un agire civico frontale. Non spreca tempo ed energie in
sterili e futili polemiche con nessuno: non con l’Establishment,
non con sconosciuti incontrati per caso sui social, non con mondani
curators. Massima preoccupazione di Insana è la preservazione
e conservazione della propria identità. La occulta, e da dietro
mille filtri, più o meno colorati, la osserva. Ma prima di questa
sbirciante relazione con l’esterno, con il mondo a lui/noi
prossimo, Insana ha sondato percorsi interstiziali; ha scavato
dappertutto: sulle spiagge, sui campi, sotto antiche torri, dietro
porte aperte sul nulla, immergendosi indifferentemente sotto
superfici marine o terrestri, nelle stazioni ferroviarie, nei
giardini urbani dove ha incontrato larve, solo larve dalle contorte
fattezze antropomorfe. Ha cercato in luoghi che la gente crede
inutili perché non distintamente allocate nelle categorie delle
merci o degli status symbols. Pensate che libertà: io sono
perché non sono. Non sono dove vorreste io fossi e non mi prenderete
mai, mentre io vi colgo ogni volta che accendo la video camera. Poi
un giorno – uno di quei giorni in cui la curiosità ti costringe a
rientrare nel marasma della città – avviene l’incontro.
Salvatore Insana conosce una danzatrice, una teatrante anomala,
riservata e interstiziale come lui: Elisa Turco Liveri. La ricerca a
questo punto raddoppia, così come le identità. Si fanno Opera
d’Arte Totale fondendo video, teatro, performance e danza. Chiamano
il loro progetto DEHORS/AUDELA. Fuori e al di là. In effetti tutti i
video di Insana dovrebbero chiamarsi così, sia i monocanale da
mostra, sia le video installazioni degli spettacoli teatrali, perché
tutti guardano da fuori e vedono al di là di ogni possibile
rappresentazione normativa del reale. Lo sguardo acquista un corpo
che si fa medium esploratore di altri modi di essere e di vivere in
perenne trasformazione. La produzione video di Insana, da più di un
lustro, segue in modo sempre più netto la scia
dell’indeterminatezza: un bell’ossimoro, elegante perfino. Dal
quasi dereniano À propos de l’été de l’âme, del
2013, a Crocevia, qui in mostra, il corpo appare come un
naturale strumento di misura dell’identità in relazione allo
spazio: due instabilità a confronto, disequilibri di forme dai
contorni vaporizzati dal colore, dal movimento, dall’obbiettivo
fuori fuoco. Macchie di carne, tessuto, erba, imbarazzi di forme e di
gesti, cascate di colori. I titoli dei video parlano chiaro indicando
l’indeterminato come possibilità di salvezza. Ce lo dice l’autore:
Crocevia
è lo stare sempre sul punto di... in procinto di... scegliere
qualcosa, una strada o l’altra, un susseguirsi di piccoli continui
sussulti che impediscono la stasi.
Il
corpo è in uno stato di fusione con lo spazio circostante, dove i
colori e le forme si sfaldano, impastano tutta la visione di un senso
allucinatorio, distorto. Il corpo è incapace di
compiere
un gesto netto, resta imbrigliato in uno spazio di mezzo dove la
volontà umana è bandita.
In
balia del vento, la figura ondeggia inutilmente, scava solchi
nell’aria, cerca soluzioni impossibili. L’ossessione per il
piccolo dettaglio, l’incapacità della figura di mostrarsi nella
sua interezza e l’impossibilità di vederci chiaro delineano un
senso di pericolo incombente.
Del
resto, prosegue Insana: “Come può un corpo attraversare un habitat
o da esso esserne attraversato?” Sarei tentato di rispondere:
“disappearing completely”.
The
title of the Radiohead song How To Disappear Completely could
grace the hypothetical manual that Salvatore Insana should, in my
opinion, write as an act of unadulterated generosity towards his
fellow man. To teach us how to disappear from a world, this world,
that loves no one, that does not love at all and does not deserve to
be loved. A few years back, Salvatore began to quietly and gracefully
distance himself from all possible political engagement, believing as
he did that there is no point engaging in head-on civic actions. He
does not waste time or energy in sterile and futile debates with
anyone: not the Establishment, not random strangers he meets on
social media, and not
worldly
wise curators. Insana’s most pressing concern is the
preservation and conservation of his own identity. He conceals it
and, from behind a thousand more or less colorful filters, he
observes it. Before he embarked on this peeka- boo relationship with
the outside world, that is, with the world around him/us, however,
Insana probed interstitial pathways. He dug everywhere: on beaches,
in fields, under ancient towers and behind doors that open onto
nothing, plunging with equal will under marine or terrestrial zones,
railway stations and urban gardens where he met larvae – larvae,
that is, with twisted anthropomorphic features. He searched in the
kinds of places that, not belonging clearly to either the category of
goods or that of status symbols, most people would consider
useless. What freedom: I am because I am not. I am not where you want
me to be and you will never catch me, while I capture you every time
I turn on the video camera. Then one day – one of those days when
curiosity drives you back into the chaos of the city – the
encounter took place. Salvatore Insana met a dancer, a theatrical
creature as unusual, reserved and interstitial as him: Elisa Turco
Liveri. At this point both the search and the identity doubled. They
became Totalizing Works of Art, merging video, theater, performance
and dance. They have dubbed their project DEHORS/AUDELA. Outside and
beyond. In reality, all of Insana’s videos should have this name,
both the single-channel ones for exhibition and the video
installations he creates for theatrical performances, because all of
them have a gaze from outside and they see beyond any possible
normative representation of reality. The gaze gains a body which
becomes a means of exploring other ways of being and living in
perpetual transformation. For more than five years now Insana’s
video production has followed ever more clearly in the wake of
indeterminacy: a beautiful, even elegant, oxymoron. From his almost
Deren-like À propos de l’été de l’âme, 2013, to
Crocevia, on display here, the body appears as a natural
instrument for measuring identity in relation to space, two forms of
instability face to face, imbalances of shapes whose contours are
evaporated by color, movement, and the out-of-focus camera lens. Meat
stains, fabric, grass, embarrassments of shapes and gestures,
cascades of colors. The video titles speak for themselves, conveying
indeterminacy as a chance for salvation. According to the artist:
Crocevia
is always being on the verge of ... about to … choose something,
one road or another, a succession of tiny incessant tremors that
prevent stagnation. The body is in a state of fusion with the
surrounding space, where colors and shapes crumble and imbue the
entirety of vision with a hallucinatory, distorted significance. The
body is unable to carry out a clear movement, it remains
entangled
in an in-between space where human will is banned. At the mercy of
the wind, the figure pointlessly sways, digs furrows in the air in
search of impossible solutions. The obsession for each tiny detail,
the figure’s inability to appear in its entirety and the incapacity
for unimpeded vision sketch a sense of impending danger.
After
all, continues Insana: “How can a body cross a habitat or be
crossed by it?” I am tempted to reply: “by disappearing
completely.”
testo estratto dal catalogo CROCEVIA, Dislocata/Wunderkammer Ass.Cult., aprile 2017