venerdì 19 febbraio 2010

Trastevere

Appostarsi. Perlustrare con occhi.

Allenarsi, con tutta l'attenzione voluta, con tutto l'irrispetto dovuto, nell'ostinata pratica dello stare a guardare, e fare di ciò l'ossessivo controcampo all'intramontabile azione dell'attendere.
Ovvero di come occuparsi per immagini di chi non sa come riempire il proprio tempo, dall'ordinario e mesto pendolare al viaggiatore risolutamente smarrito, dal disperato mendicante allo scanzonato studente, nella precaria presunta banalità del momento di passaggio, nella progressiva e costante paralisi dell'empatia nella sfera sociale d'una banchina o d'una panchina.

Raccogliendo, negli spazi geometrici e netti di una Stazione Trastevere ricca di marmo bianco, di insegne e cartelloni pubblicitari, di cavi d'alta tensione, di volatili e di rifiuti, un vasto campionario iconografico all'interno del quale - tra tese strategie di resistenza, imbarazzi, via vai di piedi e di treni, e insofferenti atteggiamenti della più annoiata attesa - i corpi umani s'incastrano con l'inorganico e ogni immagine catturata oscilla tra il criterio estetico e quello sociologico, diventando metafora di quell'efferato gioco della variazione nella ripetizione che fa della nostra vita una continua illusoria (rin)corsa alle coincidenze da non perdere.